Missinismo? No grazie.

« Older   Newer »
  Share  
Antonio Grego
view post Posted on 7/7/2006, 15:26 by: Antonio Grego




M.S.I. - C'è poco da salvare

di Franco Morini


Solo grazie alla gentile segnalazione di un vostro collaboratore sono venuto a conoscenza della pubblicazione in questo giornale [Rinascita. ndlr] di una mia ricerca già stampata nel 1997 dal periodico “Aurora” col titolo: “Nome MSI - Paternità SIM”. Sempre il vostro collaboratore mi ha poi segnalato il successivo intervento polemico, relativo ad alcune parti del citato articolo, da parte del signor Ernesto Roli (v.”Romualdi: Ristabiliamo la verità”): Pur non avendo nulla da eccepire sulla riproduzione tale e quale di una ricerca ormai datata, avrei forse preferito accordarmi per la stesura di un nuovo testo possibilmente aggiornato con nuovi riscontri.

Approfitterò pertanto dell’occasione fornitami dal diritto di replica al signor Roli, per proporre una parte di argomenti inediti ad integrazione della vecchia tesi.

Il signor Roli mi chiama sostanzialmente in causa con tre diversi appunti critici a carattere rispettivamente personale, storico e politico.

Iniziamo subito dal fatto personale secondo cui avrei squalificato gratuitamente “certe persone” (leggi: Romualdi) basandomi essenzialmente su “rancori od illazioni”. Per quanto mi riguarda, posso documentare l’assoluta mancanza di rancori per ammettere, al più, una qualche illazione sempre intesa però nella precisa accezione dei suoi vari sinonimi di: deduzione, conseguenza e conclusione.

Del resto, che non sia stato per nulla prevenuto contro Romualdi è dimostrato dal fatto che nel mio libro edito nel 1989, Parma nella RSI (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma) credo di averne positivamente illustrato l’opera di Commissario federale del PFR a Parma.

Inoltre, ho preso le sue difese più volte intromettendomi sulla stampa cittadina al fine di contestare alcuni giudizi espressi sulla sua persona e questo con particolare riferimento alle esecuzioni di 7 antifascisti avvenute a Parma nella notte fra il 31 agosto e il 1 settembre 1944. Per quest’episodio Romualdi venne, infatti, assolto dalla Corte d’Assise di Macerata grazie soprattutto alle testimonianze in suo favore di un prete partigiano affilato all’OSS- CIA, Don Guido Anelli e dell’agente del SIM badogliano, già infiltrato nella sua segreteria federale, tenente Giovanni Nadotti.

Si possono consultare in proposito alcuni miei interventi ospitati sulle colonne della “Gazzetta di Parma”, quali per es.: L’eccidio di Piazza Garibaldi, in G.d.P. del 5.9.1990 o L’eccidio della Piazza in G.d.P. del 9.9.1995. Forse, proprio a causa di queste mie continue ingerenze a favore di Romualdi, sono stato un giorno avvicinato da tal Ettore Brotini, ex milite della RSI, il cui padre Ugo, era stato - fino alla morte in combattimento - al comando del distaccamento della B.N. di Salsomaggiore. Questo ex milite mi raccontò come e perché si era casualmente trovato, nella fatidica notte del 31 agosto `44, presso il Comando della Brigata Nera e, in qualità di testimone oculare dei fatti avvenuti quella notte, mi rivelò che la rappresaglia era stata effettivamente eseguita dalla B.N. e non dai Tedeschi, come era stato invece falsamente testimoniato a Macerata da parte dei vari agenti dei servizi segreti italiani ed esteri. Risulta, è vero, che Romualdi si è difeso dall’accusa di crimini di guerra dichiarando che, al tempo dei fatti per i quali veniva accusato, egli non si trovava a Parma e quindi non era neppure al corrente del preciso svolgimento degli fatti in questione.

Il Brotini mi fece tuttavia presente che quella sera Romualdi, proprio mentre si procedeva alle singole esecuzioni, aveva telefonato al Comando per chiedere notizie di quanto stava accadendo e lo stesso Romualdi - informato della presenza presso il Comando del Brotini - volle sentirlo personalmente per chiedere notizie sia di lui che del padre, il quale, come accennato solo dopo poche settimane, perderà la vita nel corso di una notturna incursione partigiana.

Queste dichiarazioni sono state debitamente registrate e la relativa cassetta è stata a suo tempo depositata all’I.S.R. di Parma al fine di renderla disponibile agli eventuali interessati.

In precedenza, esattamente nell’aprile del 1995, avevo avuto occasione di intervistare l’ex milite della B.N. di Reggio Emilia, Dante Scolari, il quale documentandomi relativamente ad un’altra rappresaglia effettuata a Parma, questa volta però dai reggiani, e di cui non si erano mai conosciuti gli occulti mandanti, fece un solo nome: Romualdi. A queste varie notizie si aggiungeva anche il ritrovamento, in circostanze a dir poco eccezionali, dei documenti originali e autografi dell’ex agente segreto del SIM infiltrato nella segreteria federale a Parma e poi alla vicesegretaria nazionale di Milano, ingegner Gianni Nadotti. Anche questi documenti sono stati resi accessibili al pubblico tramite il loro deposito in un fondo a mio nome presso l’I.S.R. di Parma.

Le testimonianze e i documenti citati servono in parte a compensare l’assoluto, e quanto mai sospetto, vuoto documentale relativo all’intera gestione Romualdi del PFR a Parma di cui non vi è traccia né presso il locale Archivio di Stato né all’Archivio Centrale dello Stato a Roma come personalmente asseverato dalla Sovrintendente, prof. Paola Carucci con lettera prot. 2878 del 19 giugno 1997[1].

Quanto precede sono dunque le discusse “illazioni”, intese appunto come quelle deduzioni/conseguenze/conclusioni che nel loro insieme hanno poi determinato nel sottoscritto una nuova e diversa valutazione circa l’opera di Pino Romualdi sia nella RSI sia dopo.

Per quanto poi concerne - almeno a mio parere - alcune ben definite conseguenze, come la resa fatta firmare a Como da Romualdi, prendo atto dell’affermazione a dir poco temeraria del Roli, secondo cui Pavolini, recandosi a Menaggio incontro a Mussolini, “aveva lasciato detto a Romualdi che se entro le 23 non fosse ritornato indietro con la colonna Mussolini, egli avrebbe potuto intavolare trattative con emissari Alleati”. Sempre a questo proposito scrive il ben più affidabile - ma soprattutto informato - Spampanato: “Il Guastoni (OSS) era in possesso di una lettera di credenziali del Consolato generale di Berna, come ricorda Costa ( o del viceconsole americano di Lugano, come rettifica con me il prefetto Celio). La lettera lo autorizzava a trattare del passaggio dei poteri nel miglior modo (Celio mi scrisse che ne era stato avvertito anche Pavolini - Escludo la circostanza, Pavolini, a conoscenza di un passo americano, ne avrebbe informato la notte Mussolini a Menaggio e Feliciani che era ancora li lo avrebbe saputo se non direttamente almeno dal suo amico Mezzasoma che non gli nascose niente di quanto andava accadendo) (B. Spampanato, Contromemoriale, vol. III, ed.

1952, pag. 140. Per quanto datata, la deduzione dello Spampanato non ha perso smalto, dal momento che è stata riproposta senza particolari commenti critici da Marino Viganò - già curatore, per conto della famiglia, delle memorie di Romualdi -nel suo articolo La tregua di Como 26-27 aprile 1945 - Parte II: Le trattative, in “Storia del XX Secolo” del maggio 1997, pag. 33.

Passiamo ora al terzo e più corposo punto riguardante gli aspetti politici che avrebbero caratterizzato l’intero dopoguerra, per cui, a partire dal patto di Jalta del febbraio 1945, a voler dare retta a Roli, “ai Fascisti non restava altro che schierarsi visto che la principale tesi fascista, quella dell’uguaglianza fra comunismo e americanismo, era ormai storicamente crollata. Coloro che facevano prevalere i sentimenti anticomunisti si sono schierati con l’America, mentre coloro che facevano prevalere l’antiamericansimo si sono schierati con il PCI e la Russia”.

A rendere aleatoria quella pur “perversa logica di Yalta”, che secondo Roli, avrebbe cominciato a produrre i suoi primi e deleteri effetti solo a partire dai primi mesi del `45, vale a dire contestualmente alla spartizione ufficiale delle zone d’influenza fra USA e URSS, vi è una recente documentazione reperita negli Archivi nazionali di Washington da giornalisti del “Corriere della Sera” e pubblicata dallo stesso giornale, la quale dimostra che già nell’autunno del 1944, quindi ben prima della conferenza di Jalta, almeno una branca dell’OSS, in combutta con ambienti spionistici badogliani e clericali italiani, aveva già predisposto per l’immediato dopoguerra una forte e articolata reazione anticomunista da sviluppare in Italia.

Stando ai documenti pubblicati dal “Corriere della Sera”, [2] un semplice parroco di montagna, per quanto coadiuvato da un agente italoamericano dell’OSS, avrebbe convinto a partire dal novembre 1944 l’allora segretario di Pio XII, monsignor Montini, e per suo tramite il Papa stesso, a collaborare organicamente con l’OSS, fornendo ad es. informazioni strategiche, da acquisire sia tramite le Curie del nord e del sud sia attraverso le Nunziature operanti in Germania e Giappone.

Superando poi la scontata diffidenza nei confronti delle formazioni partigiane, per la loro non ininfluente componente marxista, Montini - dietro autorizzazione del papa - organizzava un incontro fra il parroco di montagna e l’ordinario militare, vescovo Ferrero, al fine di fornire un regolare cappellano ad ogni formazione partigiana. Questa inusitata attività del Vaticano era conseguente alla garanzia fornita dal nostro parroco di montagna e dal suo accompagnatore dell’OSS, che a fine guerra gli americani avrebbero completamente ribaltato la linea politica internazionale nei riguardi dei comunisti opponendosi,specie per quanto riguarda l’Italia, al loro eventuale accesso al governo.

Ma chi era questo parroco di montagna, così influente da riuscire a far imprimere una svolta tanto radicale alla pur prudentissima e accorta diplomazia vaticana? Sorpresa: trattasi di Don Guido Anelli, parroco ad Ostia di Borgotaro, piccola frazione montana del parmense, personaggio che abbiamo già incontrato nelle vesti di falso testimone a discarico nel processo a Romualdi per l’eccidio del 1° settembre `44 a Parma. Stranamente l’articolista del “Corriere della Sera” trattando di questi fatti, non si pone nemmeno l’interrogativo più ovvio e scontato, ovvero per conto di chi agisse Don Anelli, essendo francamente improponibile che di sua personale iniziativa il modestissimo ecclesiastico abbia potuto minare a tal punto i complessi rapporti tra Vaticano e i vari paesi dell’Asse.

Secondo l’oleografia resistenziale in vigore a Parma, considerata attendibile fino all’uscita degli ultimi documenti, Don Anelli avrebbe varcato la linea Gotica per conto del CLN locale al solo scopo di reperire finanziamenti, finanziamenti che pare gli furono effettivamente forniti nella misura di 13 milioni dell’epoca[3].

Si può invece tranquillamente escludere che egli sia stato inviato in missione a Roma dal CLN di Parma, poiché al momento della sua partenza il locale CLN era stato da poco interamente decimato dai Tedeschi.

Don Anelli passava, infatti, la linea del fronte nei primi giorni di novembre, mentre due settimane prima, il 17 ottobre 1944, il Comando Unico partigiano dislocato a Corniglio (PR) era stato attaccato e sgominato.

Nella circostanza perdeva la vita anche il capo del CLN-Comando piazza di Parma, il comunista Gino Menconi.

Un nuovo ComandoUnico si ricostituì, secondo la testimonianza del comandante partigiano Vincenzo Mezzatesta (Cap. Jack), solo il 15 novembre successivo [4]. Si può pertanto concludere che non solo Don Anelli non aveva ricevuto alcun mandato operativo da parte del CLN di Parma, ma che, di fatto, la “sua” iniziativa nasceva in un eccezionale momento di vuoto politico e militare all’interno della resistenza parmense.

In realtà il vero mandante della missione Anelli era il c.d. “prete- predicatore” e 007 badogliano, Paolino Beltrame Quattrocchi [5], all’epoca capo maglia della rete spionistica NEMO [6], ovvero il superiore diretto di quel tal Gianni Nadotti da lui infiltrato, come già documentato, nella segreteria federale di Pino Romualdi.

Don Paolino Beltrame era anche il tramite, per i contatti più riservati, fra il governo Bonomi e il cardinale di Milano, Schuster.

Già nel febbraio del 1944 il cardinale Schuster, per mezzo del suo segretario, Don Bicchierai, aveva attivato un filo diretto con il capo dell’OSS in Europa dislocato in Svizzera, Allen W. Dulles, fratello di quel tal John Foster Dulles che diventerà presto il più ascoltato consigliere di Truman e che, con l’inizio della guerra fredda, si guadagnerà l’ambito titolo di “nemico numero uno del comunismo”.

E’ quindi abbastanza scontato che le indicazioni circa la futura politica anticomunista degli USA filtrassero da ristretti e selezionati ambienti dell’OSS facenti capo ad Allen W. Dulles.

Il fatto poi che sia stato utilizzato Don Anelli per portare informazioni al sud, fa ritenere che gli stessi ambienti OSS operanti a Roma non ne fossero al corrente e, d’altra parte, perdurando il conflitto non era certo il caso di far trapelare anticipazioni di strategia geopolitica che avrebbero potuto minare la compattezza della coalizione alleata. In effetti, Don Anelli dopo aver incontrato più volte Montini, a conferma dell’importanza delle notizie di cui era latore, ebbe anche colloqui molto riservati sia con il presidente del Consiglio, Bonomi, che con il generale Messe.

C’è piuttosto da chiedersi perché quest’importante missione sia stata affidata ad un così modesto incaricato e non, per es., allo stesso Don Paolino, il quale, fra l’altro, era ben conosciuto negli ambienti politici romani, in quanto la casa dei suoi genitori era di norma frequentata da alti esponenti militari, politici del calibro di Einaudi o giuristi come Carnelutti.

La risposta più logica è che Don Paolino era troppo prezioso e insostituibile, per rischiare anche per puro accidente la vita in quella particolare missione, considerati anche i suoi rapporti diretti con il cardinale Schuster di cui rappresentava la parte più strettamente operativa nella triangolazione Berna-Milano-Parma.

E’ Parma, infatti, e più precisamente San Giovanni - chiesa benedettina che ospitava Don Paolino Beltrame - il luogo dove presero forma e si consolidarono le trame ispirate dalla Svizzera e quindi condivise e fatte proprie dall’arcivescovo di Milano. Come rilevato dalla “Gazzetta di Parma”, perfino l’agente italoamericano dell’OSS che ha accompagnato Don Anelli da Montini a Roma, capitano Alessandro Caggiati, denota un inconfondibile cognome parmense. Nel momento in cui compilo queste note, risulta che Don Paolino è ancora vivo e vegeto e soprattutto silenzioso custode delle grandi trame che hanno inciso profondamente nell’Italia del dopoguerra.

Le ultime notizie lo indicano come patrocinatore delle cause di beatificazione e pare che questa sua veste non sia estranea alla recente beatificazione di ambedue i suoi genitori; un caso di beatificazione coniugale davvero unico nella storia della chiesa cattolica. In ogni caso da Don Paolino, vivo o morto, non verrà mai fuori alcuna rivelazione utile alla nostra particolare ricerca. Non si saprà mai nulla ad esempio, del periodo da lui passato a Roma a concertare trame con circoli dinastici e servizi inglesi, quando, elegantemente vestito in borghese, trattava a tu per tu con il presidente del Consiglio di turno[7]. Sempre Don Paolino s’interessò a suo tempo dell’archivio personale del cardinale Schuster, prima “riordinandolo” con cura per poi pubblicare quanto più gli garbava nel volume dal titolo abbastanza indicativo di, Al di sopra dei gagliardetti [8]. Ai criptologi questo volume appare lo stesso interessante più per le sue lacune che per le espresse dichiarazioni. Trattando. in una lunga nota [9] dei vari personaggi che da parte fascista “si affacciarono in un modo o nell’altro sullo scenario delle trattative dell’aprile 1945″, vengono per es. citati: Mussolini, suo figlio Vittorio, Pavolini, Vanni Teodorani, Zerbino, Tarchi, Pisenti, Bigini, Graziani, l’industriale Cella, il commissario della CRI -RSI Pagnozzi, Montagna, Diamanti, Marcello Petacci, il console Panfili, i federali Porta e Parini, Barracu, i prefetti Bassi Tiengo Celie e altri ancora; insomma proprio tutti, eccetto l’unica persona la quale è storicamente assodato abbia dato il via e concluso trattative di resa, ovvero Pino Romualdi. Effettivamente questo ingiustificato silenzio vale molto più di un’esplicita chiamata in causa.

Per quanto riguarda invece Don Guido Anelli, vi è solo da aggiungere che, poco dopo aver testimoniato a favore di Romualdi, fu inviato in Venezuela, da dove non tornerà più fino alla morte avvenuta nel 1969.

Probabilmente Don Anelli parlava e soprattutto scriveva più di quanto gli era consentito, tanto che un suo libretto semiclandestino, Ad occhio nudo, pubblicato nel 1946, venne fatto ritirare dalla Curia su sollecitazione, pare, del dirigente comunista (poi senatore) Giacomo Ferrari [10] A questo punto torniamo all’autunno del 1944, giusto per rilevare che alcuni giorni prima della trasferta a Roma di Don Anelli, Romualdi si era ufficialmente insediato alla vicesegretaria del PFR al posto del pur ottimo Pizzirani (30 ottobre 1944). Rileviamo pure che la sede operativa di Pizzirani nel corso del suo mandato è Maderno sul Garda, mentre Romualdi è da subito dislocato a Milano, allora crocevia delle più varie cospirazione. A Maderno il posto di Pizzirani viene invece occupato da un secondo vicesegretario del partito nella persona di uno sconosciuto Antonio Bonino.

Vi è poi da considerare che qualche giorno prima (25 ottobre 1944), il Comandante delle SS in Italia, Karl Wolff, aveva preso contatto con il cardinale di Torino, Maurillo Fossati, al fine di stabilire contatti con il CLN, per avviare con esso trattative di non belligeranza nell’ipotesi ritenuta ormai prossima di un ritiro delle truppe germaniche dall’Italia, tutto ovviamente all’insaputa e alle spalle dei camerati italiani.

Nell’autunno 1944, infatti, era opinione largamente condivisa che la coalizione nemica avrebbe sferrato un’ultima e decisiva offensiva contro la Linea Gotica per raggiungere la valle del Po e determinare così il collasso militare dell’Italia. Gli ambienti fascisti più ottimisti, perché ignari delle trattative di Wolff, contavano su di un’ultima resistenza sulla linea del Po e nessuno immaginava, comunque, la possibilità di una tregua invernale quale venne poi proclamata, il 13 novembre, da Alexander.

Nel quadro politico militare che si andava profilando nell’autunno 1944, le varie trame in atto non erano dunque ad uno stadio iniziale, ma si stavano anzi perfezionando in attesa dell’esito finale. Così, anche nel nostro caso, la nomina di Romualdi ai vertici del PFR non appare come un punto di partenza ma come un traguardo già stabilito.

Eventuali problemi, per la scalata a quella carica, erano piuttosto marginali quando si consideri che, secondo quanto riportato da un rapporto dei servizi segreti svizzeri del marzo 1945, nella stessa Segreteria del Duce “pare siano molto attivi elementi che lavorano d’accordo con ambienti capitalistici antifascisti militanti, ma di tendenza clericale o monarchica”[11] Questo ritratto d’ambiente di fonte svizzera ci riporta automaticamente ad un certo personaggio che all’epoca era Capo della Segreteria militare di Mussolini, vale a dire il conte-cognato Vanni Teodorani.

Lo stesso personaggio, guarda caso, che cooperò con Romualdi nella resa di Como e che, al pari di lui, riuscì ad involarsi senza apparenti problemi dalla prefettura dove era “custodito”, senza mai peraltro fornire plausibili spiegazioni.[12].

Nell’ottobre del 1954, quando fu chiamato a dirigere “L’Asso di Bastoni” in sostituzione di Pietro Caporilli, frettolosamente giubilato per aver dato troppo spazio sul giornale al Movimento Sociale Autonomo fondato a Milano da Leccisi in opposizione alla gestione missina di De Marsanich e soci, Teodorani inaugurò la sua gestione editoriale con un lungo memoriale a puntate sui fatti di Como e Dongo dell’aprile 1945[13].

L’inchiesta, prolissa e viziata da un protagonismo al limite della farneticazione, alla fin fine non rivela quasi nulla, se non un ben manifesto rispetto per i militari dell’esercito badogliano, che Teodorani avrebbe voluto assorbire, dopo la vittoria, nelle forze armate della RSI [14], nonché una sconfinata ammirazione per il virile anticomunismo dimostrato dagli americani.

La paranoia anticomunista del Teodorani arrivava al punto da indurlo a scrivere che, se Mussolini si fosse a suo tempo consegnato agli americani, cosa che lui e Romualdi avrebbero voluto, gli americani lo avrebbero occultato in un luogo nascosto (forse Ceylon), da dove egli avrebbe potuto guidare in segreto la terza guerra mondiale contro il comunismo [15]. Date queste premesse è facile passare alla logica conclusione suggerita da Teodorani, per cui: Mussolini e i suoi caduti, non sarebbero gli ultimi morti dell’ultima guerra, ma i primi della prossima”.

Da un passo involontariamente umoristico del “memoriale Teodorani” si apprende inoltre che l’ipotetico piano americano di trasferimento del Duce a Ceylon fallì perché l’incaricato principale dell’operazione, il capitano della Guardia di Finanza, Emilio Lappiello, giusto nel “momento cruciale” di detta operazione, era rimasto in panne, causa un incidente, sulla Roma-Napoli.

Queste estemporanee memorie provocarono naturalmente una valanga di lettere e non poche contestazioni, al punto da costringere Teodorani al solenne impegno di pubblicarne almeno una parte, adombrando inoltre la possibilità di costituire una vera e propria Commissione d’inchiesta “perché si pronunci definitivamente su quelle storiche giornate”.

In realtà, esaurita la pubblicazione del memoriale, non fu pubblicato nessun altro intervento in merito, salvo la “testimonianza”, a supporto delle tesi espresse dal Teodorani, di un anonimo, - tale Carletto G. (sic) - sedicente “agente informativo del Sud” [16].

L’inattendibilità del memoriale Teodorani ci inibisce perfino l’utilizzo di alcuni spunti che pure ricondurrebbero con una certa evidenza a contatti con servizi segreti italiani e stranieri, anche precedenti rispetto ai fatti di Como.

Per quanto riguarda l’antisinistrismo, poco o nulla giustificato dal clima sociale della RSI, resta l’epilogo emblematico di Romualdi. Il 3 aprile `45 si era tenuta a Maderno la prima e ultima riunione - dopo la militarizzazione del PFR che aveva trasformato la Direzione del partito in Stato maggiore del Corpo ausiliario delle BB. NN. - il Direttorio nazionale del Fascismo repubblicano.

A questa riunione, organizzata e presieduta da Pavolini, furono invitati a intervenire, oltre ai due vicesegretari Romualdi e Bonino, vari delegati regionali della RSI, alcuni ministri (Interno, FF.AA., Cultura Popolare, Lavoro) e diversi rappresentanti di sindacati e associazioni combattentistiche del partito.

L’OdG verteva essenzialmente sull’organizzazione del ridotto alpino in Valtellina e sui caratteri specifici da imprimere al neofascismo clandestino dopo la totale invasione della RSI.

Sorvoliamo sul fantomatico “ridotto”, il cui esito finale è a tutti ormai noto, per vedere, invece, la discussione che si accese circa il carattere politico operativo che avrebbe dovuto darsi l’organizzazione neofascista all’indomani dell’ormai certa sconfitta.

Pavolini avrebbe mirato a costituire una fitta rete clandestina che, nel dopoguerra, avrebbe dovuto operare sul piano paramilitare e politico a difesa delle conquiste economiche e sociali già varate dalla RSI, sostenendo quindi la lotta di tutti quei ceti popolari che si opponevano alla restaurazione monarchico-liberale al traino delle armate nemiche.

Allo scopo di definire nei particolari il riposizionamento politico che avrebbe dovuto assumere il neofascismo italiano, Pavolini, sostenuto anche da Zerbino, Solaro e Porta, propose la formula sintetica di “socialismo fascista”, con una netta collocazione a “sinistra” auspicata in particolare da Zerbino. Contro queste proposte insorse immediatamente Pino Romualdi, il quale, se diamo credito ai suoi appunti pubblicati a cura di M. Viganò, avrebbe all’incirca così replicato: “Il ritorno alle origini non poteva intendersi con un ritorno al socialismo, cioè là da dove Mussolini era partito nella giovanile, generosa illusione di difendere gli interessi del proletariato; ma a quel fascismo originario sorto per frenare il dilagare pauroso e distruttore del socialcomunismo materialista e antioccidentale”[17].

Anche per quanto riguarda l’asserzione di Pavolini, “che era intendimento del duce e suo di organizzare nei principali centri italiani dei nuclei da lasciare nel caso d’invasione in grado di assicurare un’attività politica in nostro favore”, Romualdi polemicamente dissentiva, poiché “a parere di molta gente, specie nel partito (e io fra questi) il [problema] era la creazione di un vero e proprio partito o movimento clandestino formato di quadri e potentissimi mezzi finanziari, specificatamente preparato per la lotta politica anche in caso d’ invasione dell’intero territorio nazionale.

Una forza che avrebbe potuto permettere al fascismo di vivere anche dopo e malgrado la sconfitta militare. Data la delicatezza dell’argomento, pensai di non insistere e di riparlarne separatamente al duce e a Pavolini nei giorni successivi”. [18] Non risulta che Romualdi sia più tornato sull’argomento, lasciando pertanto il lettore nell’incertezza di un suo del tutto improbabile chiarimento circa l’ipotesi di “quella forza che avrebbe potuto permettere al fascismo di vivere anche dopo e malgrado la sconfitta militare”.

Una risposta in merito viene fornita ai posteri dalla stessa commemorazione ufficiale di Romualdi, tenuta al cospetto dell’intero vertice di An, nell’Aula magna dell’Università di Bologna, dove l’on. Riccardo Migliori, così raccontano le cronache, ha “ritratto splendidamente” il pensiero e l’opera di Romualdi con parole che, specularmente, ad altri potrebbero suonare come tanti e ben precisi capi d’accusa: “Pino Romualdi fu un non nostalgico tra nostalgici; fu liberista tra statalisti; fu europeista e occidentale tra terzomondisti; fu atlantico tra neutralisti; fu garantista tra giustizialisti; fu nuclearista tra ambientalisti, fu pragmatista tra ideologizzati; fu realista tra utopisti; fu tollerante tra giacobini; fu innovatore tra i conservatori”. E, a degna conclusione: “Come non ricordare, ad esempio, quello che Romualdi sosteneva nella sua rivista a proposito del corporativismo, che solo pochi anni fa nel nostro ambiente si pensava di poter sbandierare come una `ricetta’ economica e sociale? Egli scriveva che occorrono particolarissime condizioni per poterlo realizzare: uno Stato autoritario, un partito unico e una tensione ideale, le prime due oggi improponibili” [19]. Improponibili, grazie in particolare a Romualdi stesso e a tutti quanti lo hanno voluto sostenere.

Franco Morini

Fonte: Rinascita

Edited by Antonio Grego - 28/10/2007, 14:36
 
Top
8 replies since 7/7/2006, 15:26   675 views
  Share