Missinismo? No grazie.

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Anton Hanga
view post Posted on 28/10/2007, 14:39 by: Anton Hanga




Da Almirante a Tel Aviv


L’impostazione inequivocabilmente occidentalista e filo-sionista che da sempre caratterizza Alleanza Nazionale trova le sue radici nella svolta reazionaria intrapresa dal Movimento Sociale a partire almeno dal 1969. Svolta che comunque non nasce dal nulla, trovando anzi un suo prologo ideale in alcuni avvenimenti chiave accaduti già nel biennio 1967/68. Nel 1967, con la “Guerra dei Sei Giorni”, si ha innanzitutto la presa di posizione inequivocabilmente filo-israeliana del partito. In quel momento la dirigenza missina abbandona l’opzione filo-araba ereditata dal Fascismo e sceglie di parteggiare per l’esercito sionista contro il nemico “arabo-comunista” (così viene liquidato il nasserismo, che pure in precedenza si era non poco corteggiato)[i]. Sul versante della situazione socio-politica italiana, intanto, vediamo l’emergere della contestazione giovanile che, contrariamente a ciò che si pensa, ha connotazioni esclusivamente sinistrorse solo al nord, mentre ben diverso è lo scenario nel centro-sud: se a Perugia e a Napoli le occupazioni degli atenei sono guidate dal FUAN, infatti, a Roma vediamo addirittura Lotta di Popolo, Avanguardia Nazionale e parte delle organizzazioni studentesche missine collaborare con il Movimento Studentesco. È in questo contesto che ha luogo la disastrosa e demagogica spedizione punitiva organizzata da Almirante, Caradonna e Turchi per cacciare la “canaglia rossa” dall’università. Risultato: la contestazione torna in mano alle sinistre, Giovane Italia e FUAN si polverizzano ed il partito ottiene alle elezioni dello stesso anno il peggior risultato dal 1948 (4,5 %).

Inizia l’era di Almirante (1969)

Ecco a cosa è ridotto il MSI nel 1969, anno in cui il segretario Michelini muore. Suo successore viene nominato Giorgio Almirante, “l’unico in grado di assicurare la continuazione del progetto di inserimento e di defascistizzazione e, contemporaneamente, la mobilitazione convinta e partecipe della base”[ii]. Lo stile si fa più vivace e battagliero, ma gli obiettivi politici divengono scopertamente reazionari. Si ritorna ad invocare un “blocco d’ordine” piattamente conservatore, un blocco che – testuali parole - “vuole il servizio militare obbligatorio, il matrimonio indissolubile, il celibato dei preti, la morale non bacchettona ma nemmeno prostituta, i pederasti alla gogna ed i treni in orario”; un blocco composto da “quei milioni di mamme che la mattina mandano a scuola i loro figlioli puliti, coi compiti fatti, il timore di Dio e l’amore della patria nel cuore”[iii]. Tale opzione prevede il raggruppamento di tutte le forze anticomuniste – “fasciste” o antifasciste che siano - in un unico schieramento; Almirante ci proverà prima col “Fronte Articolato Anticomunista”, poi con la “Destra Nazionale” ed infine con la “Costituente di Destra”. Tutti progetti destinati al fallimento. Nel medesimo disegno vanno inquadrati il tentato inserimento nel movimento di “contromobilitazione moderata” della “Maggioranza Silenziosa” accanto a monarchici, liberali e socialdemocratici e le adesioni al partito di personalità come l’ammiraglio Birindelli, ex-comandante delle forze NATO del Mediterraneo, o il generale De Lorenzo, noto antifascista approdato al MSI nel 1971 dopo lo scandalo per il presunto golpe del ‘64. Sempre nel ’71 il MSI avvia dei contatti col PDIUM (il partito monarchico), contatti che sfoceranno nella presentazione di liste comuni alle elezioni del 1972, e nell’unificazione dei due partiti, votata all’unanimità dal Consiglio Nazionale monarchico del 8-9 luglio 1972. Esponenti di spicco del PDIUM come Lauro e Covelli andranno inoltre ad occupare importanti cariche all’interno del partito missino. Nel frattempo il MSI corteggia apertamente le frange moderate e conservatrici deluse dalla DC e dal PLI. Nel Congresso del 1973 Almirante può dichiarare profeticamente: “noi stiamo diventando il centro-destra”. L’anno successivo, col referendum sul divorzio, il MSI abbraccia definitivamente la linea del perbenismo moralista sposando la linea anti-divorzista della DC, che pure sopporta i neofascisti a malapena. La consultazione referendaria è vista dai missini come un puro e semplice “plebiscito anticomunista” – “non votate come i comunisti, con i comunisti, per i comunisti” - destinato a sancire la nascita di un fronte unico clerico-conservatore. Il “plebiscito” fallirà clamorosamente, e con esso le speranze almirantiane di un’apertura a destra della DC. Due ulteriori elementi altamente significativi relativi allo statuto del partito: nel 1973 scompare la clausola che qualifica l’appartenenza alla massoneria come incompatibile con l’iscrizione al partito[iv] ed in più viene affermata la “missione occidentale, europea, mediterranea” del Movimento (si inserisce, cioè, il termine “occidentale” che nello statuto originario era assente, come noterà amaramente Beppe Niccolai[v]). Sempre in questo periodo, durante una “Tribuna Politica” televisiva, Almirante proclama l’accettazione della democrazia e della libertà come “valori prioritari ed irrinunciabili”, e giunge ad esaltare i valori della “resistenza” in quanto valori di libertà.

“Israele è il nostro futuro”


Nel frattempo la posizione missina in politica estera è del tutto coerente con la svolta di cui si è detto: innanzitutto si afferma l’abbandono di ogni velleità anti-occidentalista, tanto che Almirante può dichiarare al congresso del partito del 1970: “noi siamo l’Occidente; lo rappresentiamo, siamo la punta avanzata dell’Occidente. Non esistono, non esisteranno mai, si pone fuori dal partito chi lo sostiene, posizioni terzaforziste in seno al MSI”[vi]. Conseguentemente, anche la guerra del Kippur (1973) trova la dirigenza missina entusiasticamente schierata su posizioni filo-israeliane. In una rivista giovanile di destra non ci si vergognerà nello scrivere: “Israele si espande perché è la Storia dell’Uomo che lo chiama a compiere quell’opera di civiltà e di guerra che altri popoli, altre nazioni […] rifiutano di compiere. Israele è anche il nostro futuro”[vii]. Almirante, intanto, si reca negli USA portando a garanzia della propria legittimità democratica una lettera scritta dal Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff, a Giulio Caradonna, indefesso sostenitore della politica israeliana e divulgatore di discutibili tesi storiche su di una presunta politica filo-sionista del Fascismo. Anche l’ambiente “culturale” si dà da fare: se da una parte dalle colonne de Il Borghese Giano Accame propaganda fin dal 1962 l’idea di Israele come piccolo stato eroico e nazionalista, avamposto d’Occidente assediato dai comunisti arabi, dall’altra Giuseppe Ciarrapico, editore “cerniera” tra la destra della DC andreottiana ed il MSI, comincia a pubblicare testi apologetici delle gesta delle armate sioniste: nel 1973 pubblica L’Haganah. L’armata segreta d’Israele, di Thierry Nolin, nel 1976 Missione a Entebbe, di Yehuda Ofer, mentre nel 1981 toccherà addirittura alle memorie di Begin.

Esperimenti e ricadute (1977/88)


La strategia dell’inserimento nel Sistema fallisce però miseramente. Il successo elettorale del 1972 è importante ma effimero, ed il partito continua a trovarsi più isolato che mai. Nel 1977 si decide un timido cambiamento di rotta. Almirante si convince a dare maggior spazio all’opposizione rautiana nella definizione della linea politica. Qualcosa sembra cambiare, allorché alcune delle posizioni più retrive vengono effettivamente abbandonate[viii]. Ciononostante, Almirante non sa esimersi, nel 1980, dal tentare l’ennesima carta demagogica e reazionaria: la raccolta di firme in favore dell’istituzione della pena capitale per i terroristi. La proposta è allucinante, se solo si pensa che essa viene espressa in un contesto in cui per essere dichiarati “terroristi” – meglio se “terroristi neri”- basta veramente poco. Né ci viene risparmiata la vergogna dell’ennesima genuflessione di fronte all’occupante americano: quando, infatti, Craxi – che aveva tra l’altro già tentato timide aperture nei confronti dei missini - invia i carabinieri a Sigonella (1985) a fronteggiare i marines, nell’unico ed isolato bagliore di dignità che la repubblica antifascista abbia saputo proporci da quando fu fondata, la segreteria missina mantiene un atteggiamento filo-americano che ha del disarmante.

L’era post-almirantiana

Nel 1988 Giorgio Almirante muore. Suo successore è già stato nominato Gianfranco Fini, da sempre pupillo dello storico segretario missino. Giorgio Bocca lo definirà in seguito “l’inglese di Bologna”, riecheggiando, involontariamente ma significativamente, le invettive di Berto Ricci contro gli “inglesi di casa nostra”. Il nuovo segretario si presenta vagheggiando, con scialba retorica nostalgica, di un ambiguo “Fascismo del 2000”. Ma il ragazzo è ancora inesperto, e si vede, tanto da esser sostituito da Pino Rauti già nel Congresso di Rimini del 1990. La storica anima critica del partito ha finalmente l’opportunità di confrontarsi con la concreta direzione politica. Tutto fa sperare nell’inizio di una nuova era. In realtà, però, la segreteria rautiana dura solo fino al luglio del 1991. Nel frattempo, l’ideologo “nazionalrivoluzionario” ha fatto in tempo ad approvare la Guerra del Golfo ed a portare il partito al 3,9%. Al peggio, evidentemente, non c’è mai fine. O forse è ancora presto per dirlo. Dopo Rauti, infatti, viene rieletto segretario Gianfranco Fini.


Alleanza Nazionale



Siamo agli inizi degli anni ’90. Periodo di grandi sommovimenti politici. Improvvisamente il partitello missino vede cadere dal cielo la legittimazione che da anni cercava. Le inchieste della magistratura milanese, le “picconate” di Cossiga, le esternazioni pro-finiane di Berlusconi portano il MSI al centro della scena politica. Per cogliere l’occasione al volo, però, occorre dare una riverniciata generale. È così che nel 1994 nasce Alleanza Nazionale. Per capire di cosa si tratti basterebbe citare la famosa battuta di Publio Fiori, ex-dc e neo-affiliato alla truppa di Fini: “ecco la DC che volevo!”. Grazie all’isteria anticomunista berlusconiana, AN può finalmente realizzare il vecchio sogno almirantiano: “la strategia dell’Alleanza Nazionale lanciata da Fini non [è] che la riedizione della formula della Destra Nazionale progettata da Giorgio Almirante nel 1972, riproposta stavolta sulla base di diversi rapporti di forza”[ix]. Nel 1995 la nascita del nuovo partito viene formalizzata con il congresso di Fiuggi. È qui che – oltre alle lodi di rito all’antifascismo “portatore di libertà” - verrà approvata l’allucinante mozione in cui antisemitismo e antiebraismo sono condannati anche se “camuffati con la patina propagandistica dell’antisionismo e della polemica antisraeliana”. Probabilmente nessun altro partito italiano o europeo è mai giunto ad equiparare di principio antiebraismo e critica ad Israele. Ci si tiene inoltre a precisare che gli ebrei sarebbero “nostri fratelli maggiori” – espressione che può al limite avere un senso dal punto di vista della teologia cattolica, ma che risulta grottescamente ruffiana se presentata in un documento politico. Coerentemente con tali tesi, tra i dirigenti di AN (da Maurizio Gasparri a Francesco Storace, da Adolfo Urso a Gustavo Selva, dai parlamentari Marco Zacchera e Andrea Ronchi a Gianni Alemanno[x]) comincerà presto ad essere trendy il pellegrinaggio in Israele. Del resto numerosi esponenti del partito[xi] parteciperanno persino all’Israel Day (sic!) organizzato dal quotidiano Il Foglio il 15 aprile 2002 a Roma o manifesteranno pubblicamente il proprio sostegno per l’iniziativa. Nel frattempo la linea politica del partito rasenta l’inconsistenza assoluta nel momento in cui viene a mancare persino l’opzione “legge & ordine”, resa improponibile da un alleato ingombrante come Forza Italia, giudiziariamente piuttosto “disinvolto”, come sappiamo. Né la patina “sociale” che AN cerca di darsi può ingannare chicchessia; pensiamo solo ad uscite finiane del seguente tenore: “sono deliranti le vociferazioni del Sessantotto – poi passate alle BR, anche nel documento sull’assassinio di D’Antona – contro la ‘Trilaterale’ e il ‘potere delle multinazionali’”[xii]. Chi denuncia i disegni criminali della Trilaterale è quindi a) un folle, b) di sinistra e c) un terrorista (con buona pace della sedicente destra “sociale” interna ad AN che continua a dichiararsi ostile ai “poteri forti”…). A ciò si aggiungano il sostegno a tutte – dicasi tutte – le guerre intraprese in questi anni dagli USA, le proposte antinazionali sul voto agli immigrati, l’azione costantemente antieuropea in politica estera ed avremo il quadro completo. Fini, ormai, ragiona in termini di tecnocrazia post-democratica: ha capito che oggi sono le oligarchie, non il popolo, a conferire legittimità e potere. Ne ha preso atto e si è adeguato, tentando la sua personale scalata al vertice sfruttando i contatti giusti[xiii]. Per adesso sembra riuscirci, sempre che qualche censore progressista non gli rovini tutto, protestando perché il pedigree antifascista di AN non è abbastanza puro. Poveracci: non hanno capito che loro fascisti non lo sono stati mai?

[i] Tutto questo quando i nazionalisti europei più consapevoli stanno facendo altrove ben altre scelte di campo: il 3 giugno 1968, viene ucciso in Palestina Roger Coudroy, militante di Jeune Europe, primo europeo a cadere martire nella lotta antisionista.

[ii] Piero Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino, Bologna 1989

[iii] Nino Tripodi, Viva il blocco d’ordine, in “Il Secolo d’Italia” del 16/7/69, citato in Piero Ignazi, op. cit.

[iv] L’esplicito divieto di adesione alla massoneria per gli iscritti al partito era stato sancito già nel II Congresso Nazionale e verrà poi riaffermato nel 1980.

[v] Giuseppe Niccolai, Europa e occidentalismo, termini inconciliabili, in “L'Eco della Versilia”, n° 8-9 Anno XV 31/12/86

[vi] Cit. in Gianni Scipione Rossi, La destra e gli ebrei. Una storia italiana. Rubbettino 2003

[vii] Ugo Bonasi, Addio ai padroni, in “Il Principe”, novembre 1970 ( cit. in Gianni Scipione Rossi, op. cit. )

[viii] Si veda, ad esempio, il rinnovamento della polemica anticomunista: non più appelli all’ordine contro la “sovversione rossa” ma critica del PCI come partito conservatore complice del dominio democristiano. Oppure si pensi all’inedita attenzione per temi come quello dei diritti civili (contro la repressione antifascista), dell’ecologia ecc.

[ix] Annalisa Terranova, Planando sopra boschi di braccia tese, Settimo Sigillo, Roma 1996

[x] Cfr. Gianni Scipione Rossi, op.cit.

[xi] Su Il Foglio verranno citati i seguenti nomi: Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Giorgio Bornacin, Ugo Lisi, Pietro Armani, Adolfo Urso, Enzo Fragalà, Silvano Moffa, Marco Zacchera, Enzo Lo Presti, Italo Bocchino, Ignazio La Russa, Gustavo Selva, Giampaolo Landi di Chiavenna, Mario Landolfi, Stefano Losurdo, Nino Strano, Andrea Ronchi, Cristiana Moscardini, Franz Turchi jr.

[xii] Gianfranco Fini, Un’Italia civile. Intervista con Marcello Staglieno, Ponte alle Grazie, Milano 1999. In tema di “poteri forti” si ricordi la recentissima presenza di Fini ad un convegno italiano del B’nai B’ rith, nota “associazione benefica” – così l’hanno definita i telegiornali – ebraica.

[xiii] Per cogliere la relazione tra le recenti vicende riguardanti AN e la politica anti-europea delle oligarchie sioniste e statunitensi cfr. Gabriele Adinolfi , Se questo è un uomo, in “Orion” n° 231, dicembre 2003
 
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